INTERVISTA AL GENERALE MARCO BERTOLINI

Riproponiamo l’intervista del generale di Corpo d’Armata Marco Bertolini rilasciata al giornale “Il Fatto Quotidiano” il 25 agosto. Il Generale illustra in modo chiaro e preciso la situazione bellica in Ucraina e gli eventuali scenari futuri. Le opinioni dell’ex Comandante della Brigata Folgore sembrano non collimare con la vulgata che tutti gli schieramenti politici hanno sposato per fare a gara a chi riesce ad esprimere più fedeltà possibile ad una alleanza costituitasi 73 anni fa, fedeltà funzionale solo agli interessi del socio di maggioranza.  Da quando il sistema mediatico si è reso conto che il generale Bertolini non esponeva nozioni  in linea con quanto si sarebbe da lui aspettato  le sua comparsate in televisione si sono ridotte.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 25 agosto 2022

IL GENERALE BERTOLINI: “A KIEV NON BASTANO LE ARMI: MANCANO LE RISORSE UMANE”

Il Generale: “Tutti vogliono la Crimea, ma la Russia non vi rinuncerà mai: e questo allontana il negoziato
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“La pressione principale delle forze russe si concentra in Donbas: è lenta, ma ininterrotta e progressiva” dice il generale Marco Bertolini. L’oblast (regione) di Lugansk è sotto controllo completo di Mosca, quella di Donetsk rimane conquistata solo per metà: “in quell’area Kiev per 8 anni ha organizzato fortificazioni campali che rendono difficile l’avanzata, per questo i russi intervengono massivamente con l’artiglieria” spiega l’ex comandante della brigata Folgore.

Kiev ha spesso ripetuto che gli armamenti – che l’Ovest ha inviato- avrebbero cambiato l’esito del conflitto.

Non è corretto dire che le armi possono bastare a far vincere l’Ucraina. Da noi si parla spesso di grandi perdite russe, ma, a regola, i caduti ucraini dovrebbero essere superiori a quelli russi: tempo fa Zelensky ha detto che c’erano dai 100 ai 200 morti al giorno. Soprattutto l’Ucraina ha un problema di “man power”, di potenziale umano. Mosca non ha dichiarato la mobilitazione, Kiev lo ha fatto più volte, prossimamente forse includerà anche le donne. Inoltre nelle operazioni sulla fascia orientale le retrovie dei russi sono a due passi, quelle degli ucraini sono in Europa e poi negli Stati Uniti.

Sono passati 6 mesi dall’inizio del conflitto. Zelensky prima parlava di mir, pace, ora parla di pobeda, vittoria. E promette la riconquista della Crimea.

La questione Crimea non fa altro che allontanare ogni prospettiva di negoziato: la penisola rappresenta un obiettivo vitale per i russi. È irrinunciabile, di importanza strategica assoluta. Senza, non ci sarebbe accesso al Mar Nero e Mediterraneo, per Mosca vuol dire essere schiacciata sull’Asia. Attenzione: la Crimea è un problema della Russia, non di Putin. Qualsiasi presidente russo se ne renderebbe conto. Si tratta di un obiettivo che entrambe le parti vogliono per esigenze strategiche. Che si parli di Crimea è un segnale preoccupante: su quello con Mosca non c’è possibilità di dialogo.

Nella penisola molti depositi di armi e rifornimenti sono saltati in aria: opera di droni o sabotatori.

Sono interventi oltre la linea nemica che fanno parte della storia di tutte le guerre. In questa sembrano un altro segno della volontà di prosecuzione del conflitto.

Josep Borrell, Alto rappresentante Ue , ha chiesto che i 27 Stati membri forniscano addestramento militare agli ucraini.

Si tratta di un ulteriore passo verso il coinvolgimento diretto: noi attualmente impieghiamo i nostri armamenti e la nostra economia, tutta volta a sostenere lo sforzo bellico di una parte che combatte l’altra. Se nessuno continuerà a non porsi il problema di fermare questa guerra, si arriverà a uno scontro diretto, a cui sembra ambiscano molte leadership dei paesi Nato.

Gli Usa nel giorno dell’Indipendenza hanno inviato altri 3 miliardi di armi a Kiev.

Con gli Stati Uniti condividiamo valori, ma non confini e interessi: la loro prospettiva è a 6mila chilometri dall’altra parte dell’oceano.

Finora un solo accordo è stato raggiunto: quello del grano.

Nella Nato c’è la Turchia, che, nonostante sieda nell’Alleanza, riesce a ritagliarsi una posizione originale che le consente di fare quello che spetterebbe all’Ue, che sta forse tradendo uno dei suoi compiti principali. Lo sforzo di Erdogan non è compiuto per bontà d’animo, ma per interessi. Abbiamo visto come è andata per l’entrata nella Nato di Svezia e Finlandia: ha detto sì appena qualcosa è stato offerto in cambio.

Il presidente turco perseguita i curdi ma fa il paciere. E Bruxelles?

C’è un conflitto tra due Paesi europei che si contendono, da prassi consolidata da secoli, uno spazio territoriale. L’Unione europea- che spesso ha la velleità di lasciarsi confondere con l’Europa- dovrebbe fare di tutto per far sedere le due parti al tavolo del negoziato, quello dove non c’è vincitore e vinto, altrimenti sarebbe una resa.

@Il Fatto Quotidiano

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