“La bandiera d’Italia!”

29 ottobre 2015: FONTE -Stella d’Italia News-

Comincia con questo articolo una piccola rubrica di storia.

La componente numericamente più importante delle truppe coloniali italiane era costituita da indigeni dell’Eritrea. Gli ascari eritrei servirono l’Italia per oltre cinquant’anni e mostrarono una fedeltà encomiabile. Anche nel momento più grave, quando l’invasione dell’Africa Orientale Italiana da parte delle forze dell’impero britannico e dei suoi satelliti appariva inarrestabile, molti si batterono sino alla fine.

Questa fedeltà non si spiega soltanto con l’attaccamento al proprio comandante, tipico della cultura guerriera del Corno d’Africa, o col senso di giustizia loro connaturato, che li portava a considerare inviolabile – da entrambe le parti – il patto con il Governo stipulato all’atto dell’arruolamento.

Alla fine dell’Ottocento, quando l’Eritrea non era che un nome attribuito dall’Italia alla colonia primigenia per l’affacciarsi sul Mar Rosso (Mare erythraeum), le popolazioni di quelle terre, senza unità politica, subivano il dominio e le razzie di Tigrini e Scioani da un lato e dei Dervisci dall’altro.

L’Italia, lontana, più che un paese reale fu per gli Eritrei un concetto, un senso di appartenenza, l’occasione di poter affermare la propria dignità, in armi contro prepotenti vicini. Arruolandosi volontariamente nei reparti coloniali italiani, gli indigeni partecipavano in prima persona alla difesa della terra natìa: lo facevano con efficienza, bene armati ed inquadrati, e – elemento non trascurabile – con dignità formale, in uniforme e con le insegne.

Iniziò così, sotto un governo alquanto diverso dai rapaci ras abissini, sotto una organizzazione amministrativa omogenea, un cammino di presa di coscienza come popolo che, dopo quasi cent’anni, a prezzo di grandi sacrifici, avrebbe portato l’Eritrea alla conquista dell’indipendenza.

In una terra dove di fatto non esisteva una classe media come la intendiamo noi, questa si formò con i congedati dei nostri reparti coloniali, che impressero alla società tutta un carattere rigoroso, militare. Paradossalmente, gli Italiani, insofferenti dell’autorità, avevano innescato la costituzione di un popolo autodisciplinato, gli Eritrei. Il riconoscersi nell’Italia condusse genti diverse a sentirsi tutti parte dell’Eritrea.

Ho sotto gli occhi un vecchio libro, “Morti in Libia” di Antonio Monaco. Esso contiene memorie di un ufficiale di fanteria di stanza in Libia durante la prima guerra mondiale. Di questo libro, ricco di aneddoti, a volte tragici, a volte comici, voglio proporne uno che ha per protagonista un ascari. È il 1917, e dei soldati toscani del II/50° fanteria fanno il turno di notte in un ridottino fuori Homs…

Ma qualcosa si avvicina, questa notte. Un’ombra. La vedetta grida, tanto per allontanare il disturbatore: – Chi va là?

– Italia. – risponde una voce nel buio.

– Icché? – mormora scandalizzato l’uomo di guardia. E chiede minacciosamente un’altra volta:

– Chi va là?

– Italia – ripete la voce di fuori, avvicinandosi.

– Ca’oposto! – grida la vedetta, seccata. Il capoposto s’alza, s’avvicina. La stessa domanda, la stessa risposta.

– Italia, chié? Chi ‘ssei?

– Ascari. Quindicesimo eritreo.

– Che?

La voce spiega ancora: prigioniero di guerra. Fuggito da Beni Ulìd.

Altri soldati hanno alzato la testa, si sono levàti, incuriositi. Si avvicinano e prendono parte al dialogo, con quella voce nel buio. La voce si è avvicinata con un rumore di scatole di conserva smosse (sono state buttate lì non si sa se per ordine o per una ingegnosa idea dei soldati, per avvertire dell’avvicinarsi di estranei). Ora si intravede una sagoma di uomo snello, che è in piedi e spiega. È in marcia da cinque notti. da quattro, non ha toccato cibo. I soldati del ridottino non hanno portato viveri con sé. Se ne scusano con l’Eritreo. – Ti faremo entrare alla sveglia. Ora non si può. Hai freddo?

Gli buttano due coperte per di sopra il reticolato. E l’Ascaro si sdraia, filosofo, dorme tranquillo presso la mèta raggiunta.

Ai primi brividi dell’alba l’ufficiale, avvertito, si reca a far aprire il portone blindato del muro di cinta, smuovere i tamburi dei reticolati. Ecco l’eritreo, accompagnato da due soldati. Scarno, seminudo, con una coperta ancora gettata sulle spalle. Alla vista dell’ufficiale, si pianta sull’attenti e saluta. Poi entra. Sulla palazzina del Comando Zona è già alzata la bandiera. L’Eritreo sospira, sorride, la mostra col dito all’ufficiale, e con una pronunzia stentata di scolaro: – La bandiera d’Italia!

Alcuni ascari eritrei, veterani dell’ultima guerra, hanno scelto di venire in Italia. Sono stati trattati con il rispetto che meritavano o sono stati dimenticati?

Molti Eritrei, nipoti e pronipoti di ascari, tentano di venire in Italia per sfuggire a ciò che accade nel Corno d’Africa. Quale accoglienza hanno trovato?

 

Alberto Morera

 

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