La Canzone del Piave

12 Ottobre 2015: FONTE -Unione Stella d’Italia-

In occasione del centenario della ricorrenza, il giorno 08 ottobre ho presenziato presso il piccolo cimitero di Cavoretto, sulla collina torinese, ad una cerimonia in ricordo dei militari residenti nella frazione del capoluogo caduti nella prima Guerra Mondiale.  Voluta ed organizzata dalla locale sezione dell’Associazione Nazionale Alpini, la cerimonia ha visto protagonisti i bambini delle classi quarta e quinta elementare di una scuola primaria. Ai piccoli presenti è stata “raccontata” la storia della prima guerra mondiale e la sofferenza che i soldati al fronte hanno dovuto sopportare.

Dopo aver deposto una corona di fiori al monumento ai caduti, gli stessi bambini, mano sul cuore, hanno intonato la Canzone del Piave ( o La leggenda del Piave).

Ascoltando la commuovente esecuzione dei bimbi ho fatto una riflessione: nel  1915 era valore di ogni italiano e quindi di ogni militare la difesa dei confini, condizione essenziale per la sopravvivenza della Patria, intesa come insieme e comunanza di lingua, cultura, storia, tradizioni e religione. Ogni militare aveva una sola consegna: non far passare nessuno dai nostri confini… ”non passa lo straniero”.  Cento anni dopo si è ribaltato completamente lo scenario. I confini che i nostri nonni (o forse bisnonni) hanno difeso fino all’estremo sacrificio sono diventati opinioni: è considerato cosa buona e giusta il fatto che “lo straniero” (individuo con il quale il cittadino italiano non ha nessuna comunanza di lingua, cultura, storia e soprattutto religione) entri nel nostro territorio senza controlli e i nostri militari hanno la consegna di  agevolare il suo ingresso in Patria, aiutandolo anche nell’atto di varcare i nostri confini.

Quando nel 1917 il nemico “irruppe a Caporetto”  il fatto fu vissuto come una sciagura e il responsabile di quella disfatta fu rimosso. Cento anni dopo circa, ogni giorno, viviamo una “Caporetto”: quotidianamente subiamo una invasione di stranieri ma nessuno dei responsabili di tale sciagura se ne rende conto o, tanto meno, viene rimosso. Anzi di questa invasione vanno fieri ed orgogliosi.

Poveri i nostri soldati che hanno combattuto nella Prima Guerra Mondiale! Se solo potessero vedere come 100 anni dopo si è ridotta la Patria che loro hanno difeso con ardore. E poveri anche i bambini a cui in una mattina di ottobre del 2015 un signore con un cappello con la penna ha spiegato l’importanza dei confini,  facendoli cadere nella confusione più totale: una volta giunti a casa e accesa la televisione avranno sentito che lo straniero deve “passare”.

A questa mia riflessione si potrebbe obiettare che “lo straniero” che voleva passare i nostri confini nella Prima Guerra Mondiale ci avrebbe invaso e sottomesso con le armi, imponendoci poi la propria cultura, mentre gli “stranieri” dei nostri giorni, gli  immigrati, essendo dei disperati, non hanno questa intenzione, perché non armati.  Ma ne siamo proprio sicuri?

 

Emanuele LAINA

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