01 ottobre 2014 FONTE – Giornale di Bordo Marina Militare.
“Perché lo fece? Perché la Marina era, per quel tempo, quanto di più avveniristico ci fosse.
Passata, nel giro di cinquant’anni scarsi, dalla vela all’elica, dai cannoni ad avancarica alle moderne artiglierie navali, da navi mercantili non troppo diverse da quelle di Colombo ai piroscafi e ai sommergibili, la Marina rappresentava il progresso, la scienza, il divenire di quell’uomo eroe di se stesso che è al centro dell’opera omnia di questo straordinario autore (D’Annunzio – nda), ancor oggi non del tutto conosciuto nella sua infinita natura poliedrica e innovativa. Eletta la Marina a proprio modello D’Annunzio se ne occupò in tutte le vesti. Da poeta, da deputato, da diportista e da drammaturgo. Gli mancava una sola esperienza, quella concreta del marinaio abituato a battere l’onda e a vegliare di notte, al freddo e sottoponendo lo stomaco alla dura prova del rollio del motoscafo fermo in agguato. Ebbene fece anche questo con l’aggravante, tutta a suo onore, d’imbarcare a 52 anni, volontario e senza risparmiarsi. Avrebbe potuto limitarsi a qualche corrispondenza, ma fedele non al personaggio, ma alla testimonianza coerente di tutta una vita, ebbe la sfacciataggine di proporre piani, idee, progetti e innovazioni a tutti i livelli.
Non lo fece per il legame di amicizia e ammirazione che nutriva nei confronti dell’allora Capo di Stato Maggiore della Regia Marina, il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel, lo fece perché Thaon di Revel aveva capito che c’era del buono nell’iniziativa di quell’uomo straordinario e si regolò di conseguenza.
Se oggi l’Aviazione Navale italiana è ai massimi livelli ed è in grado di operare in qualunque istante, notte e giorno e senza preavviso, congiuntamente con quella che è attualmente la maggiore Marina del mondo, quella degli Stati Uniti, lo si deve anche a D’Annunzio, strenuo propugnatore delle “ali delle flotta” sin dal 1915, quando credere a quei temerari che operavano sulle macchine volanti era una bella prova di coraggio fisico e morale.
La collaborazione del poeta abruzzese con il tenente di vascello Giuseppe Miraglia, pioniere dell’ambito aeronavale, non fu solo una fratellanza d’armi, ma una delle fasi che portarono in breve tempo alla creazione, a Venezia, di quella che fu la maggiore base d’idrovolanti d’Europa durante la Grande Guerra.
Si trattò di un risultato tanto più notevole in quanto questo lucido sogno fu portato avanti e completato dopo la morte di Miraglia, sopravvenuta già nel 1915.
Forse all’orecchio di qualcuno potrà stonare l’accostamento di un poeta alla lungimiranza e alla tenacia con cui D’Annunzio riuscì a superare il naturale scetticismo di molti e ad aiutare a procurare, attraverso i suoi infiniti canali, cose assai poco poetiche come bombole d’ossigeno e acetilene, spazi demaniali, gru, cemento, legname, cisterne per la benzina e le infinite altre necessità, concepite con larghezza di previsioni da vero manager, che costituiscono l’ABC di uno scalo aereo dell’epoca e dell’operatività di una complessa organizzazione militare.
Eppure il Vate, senza alcun timore di retorica, ne avrebbe riso. Il poeta nella sua infinita generosità si identificava con il mare, allora come oggi, nella sua evoluzione più radicale e moderna.
A partire dalla sua celebre invenzione “Nacqui su un brigantino”, facilmente smentita da legioni di biografi, il poeta che oggi ricordiamo si calò completamente nella Marina italiana del suo tempo, della storia e del futuro.
Rievocare le sue eroiche missioni di guerra sugli idrovolanti, sui cacciatorpediniere, tra pattugliamenti e posa di mine, nelle batterie costiere sotto i bombardamenti avversari, sui MAS con l’immancabile beffa di Buccari ci riporterebbe per la notorietà dei fatti ai limiti della retorica, o supposta tale.
Mi limiterò, per concludere, all’ennesima profezia: quelle “siluranti aeree” note in seguito come “aerosiluranti” che D’Annunzio predicò e perseguì, tra il 1917 e il 1918 e che vedeva, già nel 1919, come l’indispensabile strumento, in non meno di cento esemplari, necessario per permettere alla Marina italiana e al paese di confrontarsi, con pari dignità ed efficacia, rispetto alle manovre e alle minacce poste dalle maggiori potenze europee.
In tale ottica la nave Puglia, il MAS 96, preziosamente conservati presso il Vittoriale degli italiani non sono segni di riconciliazione nei confronti di un uomo minuto, ma d’animo e ambizioni troppo grosse per il suo tempo e forse per il nostro, ma soltanto tappe di un percorso che deve essere ancora scandagliato del tutto nella sua interezza, visto che le profondità della poesia e dell’azione superano quelle di qualsiasi idrografia”. Così si è espresso il capitano di vascello Giosuè Allegrini, capo dell’Ufficio Storico della Marina Militare, intervenuto il 26 e 27 settembre al Convegno internazionale di studi “Gabriele d‘Annunzio e la Grande Guerra” tenutosi al “il Vittoriale degli italiani” di Gardone Riviera.
Si è trattato di un evento storico-scientifico che ha aperto un lungo calendario di appuntamenti dedicati all’ormai prossimo centenario del Primo Conflitto Mondiale e alle imprese leggendarie compiute dal Vate insieme agli eroi della Grande Guerra.
Introdotto dal presidente del Vittoriale Giordano Bruno Guerri, al simposio hanno partecipato rappresentanti delle istituzioni, fra cui il Prefetto di Brescia dottoressa Narcisa Brassesco Pace e il Comandante dell’Accademia di Modena Generale di Divisione Giuseppe Nicola Tota, oltre ad insigni studiosi quali i professori Sergio Romano, Gennaro Sangiuliano, Francesco Perfetti e Francesco De Nicola. Nel corso della conferenza il capitano di vascello Giosuè Allegrini, capo dell’Ufficio Storico della Marina Militare, accompagnato dal sottotenente di vascello Desirée Tommaselli, ha tenuto un apprezzato intervento sullo stretto rapporto intercorrente fra Gabriele d’Annunzio e la Marina Militare.
Nello specifico ha ricordato che, nel 1931, l’Ufficio Storico della Regia Marina pubblicava il volume “Gabriele D’Annunzio combattente al servizio della Regia Marina”.
Il libro esamina tutte le missioni marittime cui d’Annunzio prese parte, dalla Squadriglia MAS alla Squadriglia Siluranti aeree fino al Reggimento Marina.
Per la stesura del libro, con il quale la Marina volle dare testimonianza del debito di riconoscenza sentito nei confronti del Vate, l’ammiraglio Guido Po, già aiutante di bandiera di Paolo Thaon di Revel ed allora capo dell’Ufficio Storico, ricorse all’aiuto diretto di D’Annunzio, dal reperimento dei documenti fino alla revisione delle bozze.
Di questa frequentazione rimangono tracce anche presso l’Ufficio Storico, nel fondo di libri donati proprio da Guido Po su cui, qua e là, sono annotati riferimenti al poeta