13 settembre 2014 – FONTE – Web News Polizia di Stato.
Il dott. Roberto Santorsa, direttore centrale di Sanità, del Dipartimento della pubblica sicurezza, nella seguente intervista ci spiega come l’Amministrazione ha affrontato ed affronta i rischi sanitari cui è esposto il personale della Polizia di Stato nell’attività di assistenza e accoglienza dei migranti clandestini.
Dott. Santorsa, cosa sta facendo la Direzione centrale di sanità per questo problema?
Oltre a misure di carattere generale da sempre adottate (informazione sui rischi specifici e sulla profilassi delle malattie infettive, dotazione dei dispositivi di protezione, monitoraggio delle criticità emergenti, profilassi post-esposizione nei casi di contatti a rischio), nello scorso luglio è stata promossa una campagna preventiva sull’infezione da tubercolosi, con il duplice scopo di fornire ulteriori informazioni e spiegazioni al personale, ed effettuare, in casi selezionati, accertamenti clinici per l’infezione tubercolare.
In cosa consiste questa iniziativa?
In poche parole si è andati oltre le linee-guida ministeriali che prevedono l’effettuazione di test specifici per l’infezione tubercolare (Test di Mantoux) solo qualora sia rigorosamente dimostrato un contatto a rischio con un individuo affetto da malattia tubercolare in fase contagiosa. Si è previsto, a ragione dell’emergenza che si è creata, delle preoccupazioni espresse su alcuni organi di stampa, del conseguente venir meno della serenità di chi è chiamato a questo delicato compito, di introdurre controlli non solo in caso di documentato contatto con soggetto ammalato e contagioso, ma anche nei riguardi di chi si è trovato ad operare in condizioni particolari e critiche, come è inevitabile in situazioni del genere, partendo dal presupposto che nella popolazione migrante la percentuale di infezione tubercolare latente è maggiore rispetto alla nostra popolazione.
Risponde al vero che molti agenti si sono infettati con il bacillo della tubercolosi?
Come accade ogni qualvolta si facciano indagini di screening sulla popolazione per questo tipo di condizione, è emerso un certo numero di soggetti positivi al test, in percentuali sinora sovrapponibili a quelli abitualmente attesi. Ad oggi sono stati effettuati quasi 1600 test di Mantoux, con evidenza di 121 positività all’esame. La positività del test non è indice di malattia, ma attesta solo un pregresso contatto con il microrganismo, che può essere avvenuto anche molti anni prima. Quindi bisogna dire con chiarezza, cosa sulla quale anche gli organi di stampa hanno equivocato, che la cutipositività al test non vuol dire malattia o contagio, ma rappresenta soltanto una condizione che va ulteriormente studiata, per definirne il significato. Tanto è vero che i poliziotti positivi al test risultano in servizio.
In che modo?
Viene effettuato subito l’esame radiologico del torace per escludere che vi siano lesioni attive e nei nostri operatori positivi tutti gli esami Rx sono risultati negativi. Poi, effettuati o meno altri esami, può decidersi se instaurare un terapia preventiva – a base di antibiotici – per limitare la possibilità che lo stato di infezione tubercolare latente (che si identifica nel soggetto positivo al test e negativo all’Rx) possa sfociare, con il tempo e con la concausalità di altre condizioni favorenti, in una malattia tubercolare. Ma ribadisco che casi di positività al test e diagnosi di infezioni tubercolari latenti verrebbero fuori anche sela campagna di screening venisse effettuata nella redazione di un giornale o negli studenti di una scuola.
È possibile dire con certezza che i gli operatori della Polizia di Stato cutipositivi siano stati contagiati dopo i servizi correlati allo sbarco dei migranti?
I dati disponibili evidenziano un’alta probabilità soltanto in tre casi, nei quali, oltretutto, è stato comunicato, successivamente al servizio effettuato, che uno dei migranti era affetto da patologia tubercolare in fase contagiosa, evidentemente sfuggita al primo filtro sanitario che avviene ancor prima degli sbarchi, tant’è che tutti e tre i casi si sono verificati a distanza di centinaia di km dalla sede degli stessi, nella fase di smistamento dei migranti.
Ma gli operatori erano dotati dei dispositivi di protezione?
Si, avevano dispostivi adeguati al profilo di rischio ed al tipo di servizio espletato. Il problema è che pur con l’uso dei dispositivi di protezione, proprio a ragione della concitazione con cui si svolgono le operazioni e della moltitudine dei soggetti, delle inevitabili difficoltà che sono tipiche delle emergenze, non possiamo certo affermare che il rischio, per il personale delle forze di polizia, sia riportabile allo zero assoluto. Gli ulteriori accertamenti eseguiti sui tre operatori della Polizia hanno escluso la presenza di malattia in atto ma, comunque, come da protocollo, seguirà uno stretto monitoraggio clinico degli stessi e, nei casi in cui vi è indicazione, una terapia di profilassi.La possibilità di sviluppare nel tempo la malattia è quindi molto remota. Tuttavia, bisogna mantenere sempre alta l’attenzione, non c’è solo la tubercolosi, possono verificarsi tra i migranti, come è già successo, casi di meningite, di scabbia. Un rischio potenziale per gli operatori di polizia, per quanto basso, resta. A questo vanno aggiunti altri rischi, quali il venir a contatto con situazioni drammatiche, come la visione di soggetti deceduti, anche in tenera età. In un soggetto che svolge una particolare professione d’aiuto, come quella del poliziotto, tutto ciò può contribuire a creare condizioni di stress che non vanno sottovalutate.
Ci sono preoccupazioni anche per la malattia da virus Ebola…
Siamo quotidianamente in contatto con il Ministero della Salute, che ci informa sull’andamento della malattia in Africa. Per quanto riguarda l’emergenza migranti, è praticamente impossibile che la malattia venga importata in Italia in tal modo: il breve periodo di incubazione e la lunga durata della traversata non consentirebbero ai malati di giungere nel nostro Paese in fase infettante. Qualche preoccupazione in più possono destare, invece, i normali viaggi aerei transcontinentali anche se proprio in queste ore l’OMS sta valutando se mettere in atto misure di prevenzione più stringenti.
Come si svolgerà l’attività degli uffici sanitari nelle prossime settimane?
Il servizio sanitario della Polizia di Stato può vantare la presenza di medici in ogni provincia e questo consente una capillare e continuativa attività di informazione e di monitoraggio su tutto il territorio nazionale. Nelle prossime settimane continueranno gli accertamenti sul personale impiegato nelle attività correlate a “Mare Nostrum”. In autunno saremo in grado di fotografare con una certa precisione la situazione, ma i risultati sinora disponibili ci consentono di ritenere che le misure di profilassi adottate sono ad oggi efficaci nel contenere al minimo il rischio di danno alla salute per il nostro personale cui, si dimentica spesso di ricordarlo, va espressa tutta la gratitudine per operare, come sovente succede anche in altri scenari, in condizioni difficili e molto delicate.