15 Gennaio 2013 : FONTE – Polizia di Stato –
Estorsioni, usura, ricettazione, furti e danneggiamenti, sono alcune delle attività in cui era attivo il “Gruppo Alfieri”, la cosca mafiosa annientata questa notte dalla Squadra mobile di Caltanissetta al termine dell’operazione “Inferis”, così denominata perché i suoi appartenenti scatenavano un vero e proprio inferno con i loro attentati. Sono 28 le ordinanze di custodia cautelare eseguite dagli agenti, 24 in carcere e 4 ai domiciliari.
Gli arrestati, in maggioranza legati da rapporti di parentela tra loro e con il boss, sono accusati di associazione mafiosa ‘finalizzata a commettere delitti di ogni genere e, principalmente estorsioni, furti, danneggiamenti col fuoco, usura, occupazione abusiva di immobili ed altri ancora.
L’organizzazione criminale era inquadrata nella cosca “Emanuello” della Stidda gelese, dalla quale si era però distaccata costituendo un’entità autonoma, guidata dal boss Giuseppe Alfieri, in carcere da alcuni anni. Nonostante fosse detenuto, il capo del gruppo continuava ad impartire le sue direttive attraverso un sistema di “pizzini” scritti su fazzoletti di carta.
I “postini” erano i suoi visitatori, in particolare la moglie e l’amante che era anche la sua portavoce e aveva un ruolo fondamentale all’interno dell’organizzazione. Era lei infatti che nascondeva le armi, prestava denaro a usura, ricettava la refurtiva e occupava gli immobili.
Il gruppo mafioso aveva come attività principali un vasto giro di usura e di estorsioni, furti e ricettazione, e come attività collaterali l’imposizione del prezzo delle angurie, vendute abusivamente, la raccolta di materiali ferrosi, l’occupazione abusiva e la successiva vendita di case popolari.
La banda imponeva le proprie regole con minacce, attentati dinamitardi e incendiari ad auto e negozi, spari contro saracinesche, vetrine e abitazioni, atti intimidatori di ogni genere anche contro esponenti delle forze dell’ordine.
L’indagine si è avvalsa dei sistemi di intercettazione telefonica ed ambientale nonché dei tradizionali appostamenti e pedinamenti. Un contributo fondamentale è stato dato dalle rivelazioni di un collaboratore di giustizia, ex appartenente al “Gruppo Alfieri”, figlioccio e fedelissimo del boss, tanto da tatuarsi il suo volto sulla schiena. L’uomo ha cominciato a collaborare con la giustizia perché, a causa di contrasti interni al clan, aveva subito tre attentati e temeva seriamente per la sua vita e per quella dei suoi familiari.