Lo stato senza tasse

06 Luglio 2015: FONTE -Andrea Nardi-

Pubblichiamo un intervento dell’amico Andrea Nardi che non necessariamente rappresenta il pensiero di Stella d’Italia News or dell’Unione Stella d’Italia ma che riteniamo sia di particolare interesse.

 

Lo Stato senza tasse: Principi per un rinascimento democratico e per una nuova visione politica

Contenuto del documento:

Primi elementi in questione: problema, soluzione, visione d’insieme.

Eliminare il debito pubblico.

Manifesto.

Primi elementi in questione: problema, soluzione, visione d’insieme

Presentazione: il problema

Questo documento teorizza la soluzione al principale problema che affligge gli Stati occidentali: la cronica penuria di denaro pubblico. Tale questione – che in seguito si dimostrerà insussistente e opportunistica – non riguarda soltanto un principio economico relativo alla contabilità, elemento già di per sé fondamentale: tutt’altro. La questione, invece, è assai più vitale, poiché da sola demolisce, da un lato, il ricatto degli istituti di credito centrali privati e della finanza speculativa a danno delle repubbliche democratiche, e, dall’altro, elimina a politici e amministratori pubblici il pretesto della mancanza di risorse per autoassolversi dalla loro inattività, incompetenza, inefficienza. In pratica, esso instaura automaticamente il primo criterio di vero buon governo, recidendo le odierne politiche economiche finalizzate al depauperamento sociale.

Ma, soprattutto, questa soluzione genera una visione radicalmente diversa del concetto di denaro all’interno del sistema statale, rivoluzionando – in modo del tutto pacifico – la nozione stessa di Stato. Essa abbatte l’intero meccanismo coercitivo dello Stato, unitamente ai suoi metodi arcaici di approvvigionamento di risorse, in primis la tassazione sui privati cittadini. Non più lo Stato come signore feudale, impositore di gabelle, dove la classe politica legifera a svantaggio dei cittadini, bensì lo Stato come strumento di benessere per i cittadini, unico suo requisito e giustificazione esistenziale.

 

Il denaro: il tabù

La soluzione alla carenza di risorse pubbliche è relata al denaro. Che cosa è il denaro?

Il denaro non è un tabù divino cui accostarsi con sacro timore. Il denaro è carta, null’altro che carta su cui sono scritti dei numeri. Spesso questa carta non viene neppure stampata e vive solo nelle cifre di un database elettronico, sul monitor di un computer. Al di là di questo non c’è nulla. Nulla di nulla. Dietro a sé il denaro non ha niente di metafisico e neppure di concreto, dato che ha rinunciato perfino alla sua fantomatica convertibilità in oro.

Quindi cosa rimane, cos’è il denaro? Il denaro è una convenzione. La convenzione di un credito. Un credito usato come pagamento per un’azione ricevuta: si può utilizzare questo credito convenzionale per ottenere in cambio un’altra azione da parte di terzi.

Stabilita la convenzione, esso è perciò diventato una merce: si è convenuto, si è stabilito, si è accettato di utilizzare questa carta come merce di scambio per altre merci. E basta. Non c’è altro dietro il denaro. In questo modo il denaro viene convertito nel lavoro (prodotti e servizi) per cui è usato come pagamento.

L’unica convertibilità del denaro è e deve essere nel lavoro.

Eppure oggi il denaro è la principale disgrazia dell’umanità. Ne siamo talmente ipnotizzati da aver del tutto smarrito la sua condizione di mezzo, di strumento, di attrezzo: di oggetto banalmente concreto. Il denaro non è un’entità celeste la cui esistenza è data da oscure genesi mitiche. Esso è solamente una cosa, un oggetto preciso e materiale cui noi abbiamo affidato un ruolo e uno scopo: ricompensare le nostre azioni.

E non si può essere schiavi di una convenzione, una convenzione che negli ultimi secoli è stata invece trasformata esclusivamente in un espediente per soggiogare le popolazioni. Se le convenzioni sono dannose, bisogna modificarle, eliminarle, riconsiderarle.

Occorre quindi abbandonare il concetto antiquato della somministrazione minimale del denaro alla popolazione. Il compito dello Stato, di contro, è proprio la produzione di denaro da convertire in lavoro.

 

Origine del nostro denaro: chi fabbrica il denaro?

Ma, allora, chi produce concretamente il denaro? Questo è il punto.

Oggi il denaro è prodotto – stampato, fabbricato – dalle banche centrali private. Che lo imprestano agli Stati dietro interessi usurari. Contrariamente a quanto si pensi, le tipografie degli Stati non stampano le banconote per conto degli Stati stessi, bensì su commissione delle banche centrali: le quali sono tutte private.

La soluzione al problema, sotto gli occhi di tutti

La storica indigenza delle finanze statali, i colossali debiti pubblici, le tassazioni massacranti, la disoccupazione senza speranza, la miseria sociale, l’inadeguatezza della spesa pubblica, le vessazioni sui pensionati e sui dipendenti pubblici, le criminali imposte indirette infinitamente crescenti, la soverchiante arroganza della dittatura finanziaria privata a danno delle democrazie, tutto ciò sarebbe spazzato via in un sol colpo ove lo Stato stampasse da sé il denaro occorrente al proprio fabbisogno.

Esattamente: stampare denaro, fabbricare denaro, produrre una merce in cambio di altre merci: il cittadino fornisce allo Stato il suo lavoro – un servizio o un oggetto – e lo Stato lo ricompensa dandogli in cambio un pezzo di carta da lui stampato, col quale il cittadino può a sua volta comprare altro lavoro da altri cittadini. Da una parte chi fabbrica lavoro – i cittadini – dall’altra chi fabbrica banconote – lo Stato –: sembra lapalissiano, e lo è.

Sembra troppo facile per essere vero; se fosse così facile perché non ci hanno mai pensato? In realtà ci hanno pensato eccome, e lo hanno anche messo in pratica con successo nel passato, come vedremo più avanti.

Lo Stato deve stampare il denaro di cui ha bisogno.

In questo modo non solo non esisterebbe più debito pubblico, né interessi da strozzinaggio da pagare alle banche private, ma si svilupperebbe finalmente un vero welfare, non assistenziale bensì produttivo, in cui lo Stato avrebbe risorse illimitate per far fronte alla propria spesa, agli investimenti, ai lavori pubblici, e, soprattutto, all’impiego pubblico.

Lo Stato deve stampare da sé il denaro, usandolo come merce per pagare il lavoro necessario, e per farlo circolare nella società: denaro contro lavoro. E lo deve stampare di continuo ogni volta che ne necessita.

Le imposte non sarebbero più una fonte di reddito per lo Stato, ma solo un correttivo sociale ed economico.

Non si creerebbe inflazione, come subito tutti grideranno scandalizzati, poiché niente ci sarebbe di diverso da oggi, tranne il fatto (assurdo) che ora il denaro venga stampato non dallo Stato ma dalle banche centrali private. Inoltre molti sono i modi per contenere l’inflazione, tramite specifiche legislazioni.

 

Lo Stato: un’alleanza vantaggiosa

Questo è il primo passo affinché lo Stato cessi di essere un’entità reale, superiore ai cittadini, in concorrente rivalità con loro, soggiogante e autonomo.

Occorre, al contrario, superare il principio seicentesco della ragione di Stato, inaugurato dal cardinale di Richelieu e ancora oggi applicato in tutto il mondo: in esso si teorizza che lo Stato sia un’entità permanente esistente di per sé, con proprie necessità e propri fini, totalmente avulso dai cittadini, con proprie strategie e politiche finalizzate soltanto alla conservazione di sé medesimo, anche a discapito dei cittadini stessi.

Lo Stato, invece, non esiste, non è nulla di concreto, è solo un termine riferito a un’astrazione. La realtà viva consiste solamente nei cittadini, negli individui che si associano liberamente fra di loro per ricavarne un beneficio. In questo momento storico tale beneficio non esiste più. Lo Stato si è trasformato in un fardello per i cittadini, un handicap, un’oppressione, un avversario, un aguzzino.

Lo Stato non esiste, esistono solo i cittadini, solo gli individui.

I cittadini-individui non possono subire iniquità e danni affinché lo Stato abbia una vita autonoma e indipendente da loro, a loro superiore, contro di loro in competizione.

Lo Stato è uno strumento in mano ai cittadini-individui che si associano soltanto per ricavarne un beneficio. Stampare il denaro occorrente alla spesa pubblica è il primo mezzo naturale in loro possesso per far funzionare questa associazione.

Obbrobrioso è, al contrario, lo Stato odierno, il cui unico scopo è lo sfruttamento iniquo e illimitato dei cittadini per sopravvivere a loro carico come entità dominante e autoreferente.

Alla ragione di Stato occorre sostituire il principio della ragione dei cittadini: lo Stato esiste e agisce soltanto in funzione del beneficio dei cittadini. E per cittadini si intendono non solo quelli di un singolo Stato, ma l’intera comunità di individui del pianeta, quindi il principio propugna l’azione continua degli Stati a favore di tutti i cittadini di ogni nazione, e ove una politica di uno Stato risultasse di discapito per i cittadini di un altro essa dovrà essere abbandonata. Mai più competizioni fra Stati.

Occorre uscire dai concetti oscurantistici cui lo Stato ancora si rifà, per approdare a filosofie di convivenza sociale e di amministrazione politico-economica radicalmente diverse, senza timore che ciò possa in alcun modo sovvertire la civiltà democratica e i suoi normali meccanismi mercantilistici, ma, anzi, accettando che la nuova figura dello Stato e la sua rinnovata capacità di intervento finanziario siano di miglioramento assoluto alla vita sociale.

L’abbandono dell’arcaico principio della ragione di Stato impedirà che sotto la sua egida vengano di continuo commesse azioni antidemocratiche e criminali da parte delle classi politiche per proteggere, in realtà, interessi dei gruppi dominanti in grado di controllare i poteri legislativi statali.

 

Eliminare il debito pubblico

Esiste un modo semplicissimo per eliminare in radice il tragico problema del debito pubblico. Questa soluzione è propugnata da innumerevoli scuole economiche contemporanee e del passato, e suffragata da esempi storici concreti. Eccola:

Quando lo Stato ha bisogno di denaro per le proprie spese, lo stampa.

Ossia, quando lo Stato ha bisogno di denaro per le proprie spese, lo deve stampare da sé, invece di farselo stampare da una banca centrale privata (Banca d’Italia, BCE, FED) o di farselo imprestare da un istituto finanziario privato.

Sembra sbalorditiva l’immediatezza di questa soluzione, eppure proprio la sua logica assoluta ne impedisce la presa di coscienza da parte dei cittadini, assuefatti dalle falsità delle tesi dominanti. Vi sono intere biblioteche di testi scientifici e studi accademici pubblicati che danno contezza esaustiva e articolata di ogni aspetto economico e politico di questa teoria, confutando a una a una ogni obiezione.

Attualmente, nella maggior parte dei paesi e in tutti quelli occidentali, quando lo Stato ha bisogno di denaro, è costretto o a chiedere maggiori tasse o a farselo imprestare dalle banche (che sono tutte – tutte – private), creando in questo modo il debito pubblico.

Allora la Banca Centrale (privata, nonostante, per esempio in Italia, sia stabilito dalla Costituzione che debba essere pubblica) stampa il denaro occorrente e lo cede allo Stato in cambio di titoli. Nella UE questa azione è ora demandata alla BCE (sempre una banca privata). I titoli da risparmio acquistati dai cittadini privati sono una percentuale minima del debito pubblico.

Questa operazione è totalmente e assolutamente assurda. Infatti, non solo la Banca Centrale (privata) chiede un interesse su questo prestito, ma addirittura iscrive questa cessione di moneta come debito dello Stato nei confronti di sé stessa al valore nominale, non al costo reale di tipografia. In pratica, ogni moneta da 1 euro viene addebitata per 1 euro, invece che, poniamo, 10 centesimi fra metallo e lavorazione, e ogni banconota da 100 euro viene addebitata a 100 euro invece che a 1 centesimo di costo di stampa tipografica.

Come se un tipografo che stampasse i biglietti dello stadio, il cui prezzo al pubblico per l’ingresso fosse 20 euro, emettesse allo società di gestione dello stadio una fattura di 20 euro a biglietto, invece del costo di tipografia.

A questo si aggiunge l’interesse che viene chiesto allo Stato, e, nel caso il denaro venga imprestato non dalle banche centrali ma dagli istituti finanziari speculativi, tale interesse raggiunge valori da usura.

In questo modo il debito pubblico si gonfia esponenzialmente e irrazionalmente.

Se lo Stato interrompesse questa pratica demenziale, stampandosi direttamente da sé il denaro occorrente, non esisterebbe debito pubblico.

Precisiamo subito alcuni punti fondamentali:

– Le banche centrali non stampano il denaro in base a chissà quale controvalore metafisico o reale cui esso dovrebbe corrispondere o attenersi. Non è più così da quando il denaro ha rinunciato alla sua convertibilità in oro (in Italia, per esempio, dal 1935; negli Usa dal 1971). Le banche centrali stampano denaro dal nulla: questo denaro non costa loro nulla. Solitamente non viene neppure stampato.

– Stampare denaro non crea automaticamente inflazione, e lo vediamo ogni giorno, dato che anche in questo momento il denaro occorrente viene stampato creandolo dal nulla, solo che adesso lo stampano le banche centrali private invece degli Stati, facendoselo pagare senza motivo dagli Stati stessi, cioè dai cittadini. Se lo Stato stampasse da sé il denaro occorrente, non costerebbe nulla a nessuno e non esisterebbe debito pubblico.

– Questo sistema è sempre stato assurdo, un regalo incivile alle banche private, e ha assunto proporzioni intollerabili da quando non è nemmeno più la banca centrale privata a stampare e prestare il denaro allo Stato dietro un interesse basso, per quanto non dovuto; ma è diventato spaventoso nel momento in cui (in Italia nel 1981) si è stabilito che non debba essere più la banca centrale a prestare denaro al singolo Stato, ma gli istituti finanziari speculativi, dietro interessi da strozzinaggio, mentre oggi la Banca Centrale Europea (privata) debba essere la sola a stampare denaro, ingigantendo i debiti pubblici degli Stati senza alcun motivo (il motivo, in realtà c’è eccome: le banche private da sempre lucrano esattamente su questo).

– In verità, lo Stato Italiano, per esempio, al di fuori del risparmio dei privati cittadini, non avrebbe mai nemmeno avuto bisogno di vendere titoli sul mercato finanziario speculativo per finanziarsi, poiché dal 1992 al 2008 ha sempre avuto un avanzo primario, ossia, al netto degli interessi, ha sempre intascato più tasse di quanto ha speso: quindi aveva abbastanza soldi per pagare tutti i suoi dipendenti pubblici, comprare i prodotti che gli occorrevano, fare i lavori che necessitavano. Mettere sul mercato titoli a debito è stato solo e soltanto un espediente per far guadagnare le banche e gli istituti finanziari internazionali, che sono gli unici mandanti e sostenitori di questo sistema usuraio.

– Il valore del denaro non deve essere rapportato ad altro che al lavoro per cui viene dato come compenso. In una società auspicabile e perfettamente realizzabile, lo Stato chiede lavoro ai cittadini (servizi e prodotti) e in cambio dà loro un quantitativo equo e proporzionale di denaro come compenso, cosicché essi possano a loro volta usarlo per avere da altri cittadini un lavoro (servizi e prodotti). Questo denaro deve essere prodotto dallo Stato dal nulla, senza alcun onere per lo Stato stesso, che è sovrano e quindi legittimato a stampare denaro per i suoi cittadini e per sé medesimo.

– La quantità di denaro da crearsi andrebbe commisurata a quello necessario per gli investimenti produttivi, e la sua copertura economica sarebbe data appunto dai beni e dai servizi conseguenti a questi investimenti (ciò che chiamiamo “lavoro”).

– Questa soluzione non cade dalla luna, ma è stata storicamente già adottata con successo varie volte da alcuni paesi. Gli Stati Uniti d’America nacquero e prosperarono sino a diventare una potenza mondiale stampandosi in proprio il denaro necessario per le spese pubbliche per oltre un secolo (fino a quando i banchieri americani si arrogarono tali privilegi e insensatamente i politici glieli concessero); l’isola di Guernsey dal 1816 a tutt’oggi stampa da sé il denaro occorrente; la Germania nazista divenne ricchissima e rigogliosa con questo sistema, tanto che dopo la sconfitta, alla fine della guerra, non aveva un marco di debito pubblico, mentre gli Usa e alleati si ritrovarono con debiti pubblici stellari; il presidente Lincoln lo fece, e anche Kennedy adottò questa soluzione facendo stampare dallo Stato il denaro occorrente alle spese pubbliche; alcuni paesi arabi lo fanno e lo ha fatto l’Impero Saraceno, così come la Cina Mandarina.

– Il debito pubblico e le imposte non esisterebbero se lo Stato non donasse alle banche private i redditi di questo sistema (signoraggio). Non ci sarebbe bisogno di tasse, perché lo Stato pagherebbe le proprie spese con il denaro stampato da sé, il cui valore è pari al lavoro di cui è compenso.

– Tutto ciò sarebbe compatibile con un’Unione Europea seria e democratica, dove un organismo di controllo verificasse il conio della corretta moneta necessaria ai singoli Stati, al di fuori di ogni ingerenza delle banche private.

Siamo a disposizione per documentare questa tesi con testi, incontri, interviste, bibliografia.

Si prega di darne la massima diffusione al fine di creare un movimento politico e sociale internazionale di ribellione al sistema del debito pubblico fomentato dalle banche private, e patrocinando invece un sistema di Stati sovrani nell’emissione da sé medesimi della propria moneta.

Qui si tratta di abbattere i pilastri ingiusti e antidemocratici dell’odierna struttura economica e politica, tramite una rivoluzione incruenta ma radicale, in funzione di una società finalmente civile e umana.

Ricordiamoci che il Medioevo ha protratto per oltre mille anni privilegi e soprusi inconcepibili, eppure in ciò è stato difeso da classi intellettuali, religiose, e ovviamente di potere, che ne predicavano l’immutabilità. Più vicino a noi, anche l’apartheid ha subito la stessa difesa a oltranza, e ugualmente, per esempio, i mancati diritti di voto alle donne o altro. Fino a che, mutate le coscienze tramite la conoscenza, oggi appaiono organismi sociali evidentemente oscurantistici e anacronistici. Siamo sicuri che un giorno anche il sistema del debito pubblico e dell’attuale tassazione verranno considerati illegittimi, così come la criminale gestione del potere di governo da parte delle banche private, nonostante adesso le teorie a essi contrarie saranno boicottate e derise da chi ha interesse al mantenimento dello status quo.

 

Manifesto per unaAlternativa di Stato

Noi crediamo:

  1. I) In uno Stato che emetta e stampi direttamente da sé medesimo la moneta occorrente al proprio fabbisogno, come da prerogativa sovrana.
  1. II) In uno Stato che non si faccia stampare e imprestare il denaro da istituti di credito privati dietro corresponsione di interessi.

III) In un’Unione Europea di Stati che adotti in primis le due precedenti regole.

  1. IV) In un sistema fiscale in cui la tassazione a carico dei cittadini non sia più necessaria, e che, da principale risorsa finanziaria a sostegno della spesa pubblica, si trasformi in un mero correttivo sociale e di controllo dell’inflazione, con aliquote personali basse o inesistenti per gran parte della popolazione.
  1. V) In un sistema economico in cui si supplisca al fabbisogno di denaro, per fronteggiare la spesa pubblica, facendo emettere direttamente dallo Stato il denaro occorrente. Non accettando né lo strozzinaggio della speculazione bancaria privata e i suoi ricatti all’interno del meccanismo del debito pubblico, né l’iniquità della tassazione sui cittadini sempre più gravosa e devastante. Attualmente il denaro occorrente allo Stato viene procurato tramite o la tassazione o la vendita di titoli pubblici: in questo secondo caso, la moneta viene stampata dal nulla (il denaro non ha più alcune convertibilità in oro o altro) dalle banche centrali private, le quali lo imprestano poi allo Stato dietro l’emissione di titoli con interesse; a causa di ciò lo Stato crea debito pubblico mai più estinguibile, mentre le banche private guadagnano profitti smisurati, inestinguibili, e soprattutto immotivati. Tutto questo non accade se lo Stato stampa ed emette da sé il denaro occorrente alla spesa pubblica, così come da prerogativa sovrana, e come è stato più volte e con successo fatto da vari paesi e governi nel corso della storia.
  1. VI) Nell’abolizione del meccanismo del debito pubblico, non più necessario.

VII) In un sistema monetario in cui il denaro trovi soltanto nel lavoro (ossia nei prodotti e servizi offerti dal cittadino in cambio, appunto, di denaro) la sua convertibilità, il suo controvalore, la sua ragion d’essere; e venga emesso direttamente dallo Stato per soddisfare le esigenze sociali, senza alcuna spesa per la sua creazione ex nihilo.

VIII) In un’amministrazione pubblica finalizzata non al pareggio di bilancio, al risparmio o al profitto, bensì soltanto al maggior benessere sociale possibile; in cui le relative risorse siano coperte dall’emissione statale di denaro, la cui creazione ex nihilo, tolto il costo tipografico, sia senza alcun onere.

  1. IX) In una struttura sociale in cui il primato spetti ai servizi civili piuttosto che alla mercificazione totalizzante. In cui, al circolo vizioso produzione-vendita-spreco-riacquisto, si affianchi l’alternativa della fornitura di servizi dell’uomo per l’uomo. In cui, al proliferare sterile di paesaggi contemporanei mercificati (fabbriche, negozi, supermercati, centri commerciali) si aggiunga un terreno professionale di attività dedicate all’interrelazione civile (insegnamento, educazione, assistenza famigliare, assistenza sanitaria, assistenza burocratica, accompagnamento umano, solidarietà e gestione sociale, manutenzione territoriale, impegno culturale artistico sportivo, studio, ricerca). In cui al guadagno in funzione della vendita di merce e prodotti, si aggiunga l’opportunità di retribuzioni per la fornitura di servizi umani. In cui si interrompa l’ideologia perversa secondo cui solo consumando sempre di più si potrebbero avere benefici per le popolazioni. In cui non si ingannino i popoli con l’illusione di produrre benessere aumentando l’inflazione (aumento infinito dei prezzi al consumo). In cui alla mono-visione mentale del profitto mercantile e dello sfruttamento illimitato come unica direzione produttiva, si sostituisca la cultura alternativa del progresso etico e della filosofia umanistica.
  1. X) In un governo politico democratico da cui venga bandita ogni interferenza di organismi privati legati a interessi bancari, finanziari, speculativi. Dove sia fatto divieto a tali organismi d’avere rapporti con l’amministrazione della Cosa Pubblica.
  1. XI) Nell’abbandono del principio della ragione di Stato, e nella sua sostituzione col principio della ragione dei cittadini.

Da ciò consegue il primo diretto obiettivo politico di questo Manifesto:

studiare e programmare il progressivo ma rapido abbattimento delle imposte personali nazionali, e al contempo favorire il riappropriarsi da parte dello Stato della sua prerogativa sovrana di creare denaro ex nihilo per soddisfare la spesa pubblica.

Ciò è perfettamente compatibile con un’Unione Europea dove si adottassero i medesimi criteri politici, sotto una gestione comune e razionale della moneta in funzione democratica e del benessere popolare, a differenza di quanto accade oggi dove vengono tutelati solamente gli interessi dell’aristocrazia finanziaria.

Questo Manifesto vuole presentare la propria idea forte per attivare un impegno politico concreto finalizzato al mutamento dei pilastri economici e politici attuali, migliorando radicalmente la vita sociale delle popolazioni, e liberandole dalle menzogne ideologiche propugnate dal feudalesimo finanziario contemporaneo.

Andrea B. Nardi

www.andreanardi.it

info@andreanardi.it

 

Condividi

Commenti

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Sponsor

Articoli correlati